lunedì 1 febbraio 2010

Ricevo e pubblico: "IL NUCLEARE E L’ATTEGGIAMENTO DELLE REGIONI"

L’atteggiamento a corrente alternata delle Regioni sul nuovo programma nucleare nazionale risente, con ogni evidenza, del clima elettorale nel quale siamo già entrati in prossimità delle elezioni regionali del 27 marzo.

Nel dubbio che la popolazione italiana possa non essere favorevole all’insediamento di impianti nucleari nel territorio di appartenenza , è stato aperto - a fini esclusivamente elettorali - un nutrito fuoco di sbarramento elettorale che vede coinvolte tutte le regioni italiane tranne tre (Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia).

Questa apparente sollevazione ha avuto tre momenti che sono determinanti per capire quale sia il suo reale significato.

In primo luogo, subito dopo l’approvazione della legge n. 99/2009 (23 luglio 2009) - che delega il governo ad emanare, tra l’altro, i criteri di localizzazione e autorizzazione dei nuovi impianti - ben 11 regioni hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro il provvedimento, sostenendo che l’iter previsto scavalca di fatto il potere decisionale delle regioni, in violazione del nuovo testo del titolo quinto della Costituzione, che attribuisce in materia “poteri concorrenti” a Stato e Regioni. A detta di quasi tutti i costituzionalisti, questo ricorso sarà probabilmente respinto, dal momento che in effetti la legge 99/2009 non viola alcunché, in quanto non fissa affatto l’iter di localizzazione e autorizzazione, ma ne indica i principi fondamentali, da esplicitare in un successivo decreto legislativo di iniziativa governativa. È quindi evidente che l’iniziativa ha avuto esclusivamente carattere “politico”. A riprova di ciò, occorre ricordare che la stragrande maggioranza delle regioni che hanno presentato il ricorso è governata da coalizioni di centrosinistra (mi sembra che faccia eccezione il solo Molise).

In secondo luogo, il decreto legislativo sulla localizzazione e l’autorizzazione degli impianti approvato dal Consiglio dei Ministeri lo scorso 22 dicembre (e attualmente all’esame delle competenti commissioni parlamentari) affronta correttamente il problema, prevedendo il pieno coinvolgimento in sede decisionale delle regioni. Il decreto prevede in particolare che la scelta di un sito deve avere l’intesa preventiva della Conferenza delle Regioni e della Regione interessata. Nel decreto si stabilisce (nel solco di quanto previsto dal titolo quinto della Costituzione) che in caso di mancanza dell’intesa è istituito un comitato interistituzionale comprendente i rappresentanti del governo centrale e delle Regioni, che deve a sua volta esprimere l’intesa. Solo nel caso manchi ancora l’intesa, la decisione è demandata (come previsto dalla Costituzione) all’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello stato, che sono esercitati al massimo livello (Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica), con la partecipazione (ancora) della Regione interessata. La ragione della scelta di prevedere i poteri sostitutivi - perfettamente in linea con il dettato della costituzione - è che la carta costituzionale non riconosce alla regione il diritto di impedire la realizzazione di un’infrastruttura di pubblica utilità e di interesse nazionale, come un’autostrada, una ferrovia, un aeroporto o una grande centrale elettrica, di qualsiasi tipo. Ebbene, nonostante la presentazione del decreto abbia sgombrato il campo da ogni dubbio, le 11 regioni ricorrenti non hanno ancora ritirato il ricorso presentato.

In terzo luogo, lo stesso decreto legislativo del 22 dicembre, nel suo iter, è stato sottoposto, secondo quanto previsto dalla Costituzione, all’intesa della Conferenza delle Regioni, che la settimana scorsa, anziché esprimere il parere richiesto (che avrebbe potuto essere favorevole o contrario, ma che comunque avrebbe dovuto essere motivato), si è semplicemente rifiutata di farlo, preferendo diramare un comunicato stampa di contrarietà (ma non un parere formale) che è stato sottoscritto, stavolta, da quasi tutte le regioni (tranne tre). È evidente che con tale atto la Conferenza delle Regioni ha evitato di esprimere un parere elettoralmente scomodo, preferendo lo strumento del “comunicato stampa”, certamente più adatto alle finalità elettorali. La stessa crescita del numero delle regioni “dissenzienti” testimonia la sensibilità alle problematiche elettorali.

La mancanzaa del parere della Conferenza delle Regioni non determina alcuna battuta di arresto nell’iter autorizzativo dei nuovi impianti nucleari. Il parere delle Regioni (anche se negativo o non espresso) non è infatti vincolante per l’approvazione definitiva del decreto legislativo. L’accaduto rappresenta invece una evidentissima abdicazione delle amministrazioni regionali al loro mandato costituzionale, sul modello dell’atteggiamento poco responsabile che in passato hanno portato l’Italia ad uscire dal nucleare e più recentemente ad impedire per diverse volte la realizzazione del deposito nazionale per i materiali radioattivi.

È mia opinione che sarà sufficiente attendere la chiusura delle urne perché le Regioni possano tornare a manifestare tranquillamente i loro orientamenti, che terranno conto, stavolta, dei finanziamenti previsti a favore delle realtà locali, più che di un dissenso tutto da dimostrare. A tale proposito, occorre ricordare che il cauto atteggiamento delle regioni è scarsamente giustificato, dato che il presente governo ha vinto la consultazione elettorale ponendo il nucleare all’interno del suo programma e che tutti i sondaggi di opinione condotti nell’ultimo biennio in Italia evidenziano che la maggioranza degli italiani è favorevole all’energia nucleare (in media, 54% a favore, 38% contro).

Nel frattempo, se qualcuno – come ha fatto Vendola – preferisce evocare i carri armati, è libero di farlo (a scapito della sua credibilità). Non saranno necessari.

Nessun commento:

Posta un commento